23 aprile 2015

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Adesso c'è Postpank

11 luglio 2008

Estatiè


C'è un buco nero che si porta via il tempo, in quest'estate che si sta da schifo ad ascoltare il vento che ti canzona. Ho attraversato mezza Italia e mi sono sentito libero, ma torno a girare in tondo con quattro altri sfigati come me e mastico un po' amaro. Eppure la stagione prometterebbe vacanze e profumi. Arriverà agosto coi suoi cavalli e noi ce ne andremo altrove, magari all'Uccellina, visto che la Camargue la inquinano e al norte ci face freddo, la Tùrchia è più lontana di quanto non si possa andare e Roma comunque non avrà se non per poco di che arroventarci i calcagni. Mi agrappo agli stipiti per rallentare e mi deformo per la decelerazione. Venti giorni serviranno a far posare la polvere e ad aspettare che si faccia chiaro. E nel frattempo, si avanza a scrosci, trabocchi, ansiti e madonne. Protrusi ma felici.

4 luglio 2008

Ahò, che fichi

Allora annassimo alla sala corse quella der casino all’avignonesi, mpò più in là der messaggero. C’era st’amico ch’aveva risparambiato dù scudi e je dicevamo giochete sto cavallo bono, che er cognato der fattorino dell’atacche quello chii capelli panonti, caa sgrima e co tutta a forfora sur giacchetto, che bazzicava er genero der monnezzaro, aveva inteso che sto cavallo dice che era bono, sicuro. Ahò, che te credi che ciannavamo tutti i giorni a giocà a li cavalli? Ma che cazzo stai a dì, ma si nun c’avevamo na lira pe piagne, che a pora mamma passava e giornate sane a riccoje la cicoria ar pratone! Solo che ar pratone ce stava pure la banda de spugnetta, che sì te beccaveno da solo erano cazzi. Minimo minimo te corevano appresso e te toccava fa a botte, si ciavevi li sordi peggio che annà de notte. Eppoi che sordi ce potevamo avé? Già era tanto che magnavamo pasta e patate… Comunque si nun te facevi cioccà te potevi annà a riccoje la frutta in der giardino dee monache. Mortacci loro a robba che ciavevano! E bricocole! E cerase, ma quelle toste, no e visciole, li graffioni! Ammazza quant’ereno boni! E e persiche? Squisite! Na vorta ciavevo na fame che ncevedevo e me so magnato le cocce dee fave ppputo che SCHIFO! Ar sor Amilcare, invece, je piaceveno, see magnava co tutte e cocce. Pure i cachì che allappavano se magnava. A me me facevano venì na sete che pareva che m’ero magnato le sarache. Ansomma, pedditte annassimo all’avignonesi. Semo arivati aa stazzione termini cor C1, se semo comprati le fusaje da giggetto prima de partì a piazza dii mirti, poi quer cojone de Arvaro ha voluto pià er tranvetto e allora se semo separati. Comunque er cartoccetto de fusaje io moo sò magnato tutto, ancora n’eravamo arivati aa maranella e già l’avevo finite tutte. Er ciccione invece se magnava li bruscolini, ammazzelo che schifo! Aveva smonnezzato tutto er tranve, er fattorino je fa a maschio, l’animella tua, ma che a casa tua fai ste porcherie? E che sarebbe? Hai zozzato tutto, ammappete, io o farebbe aripulì a tù madre, anvedi. Allora l’avemo preso per culo daa stazzione fino a e lazziali, poi quanno che è arivato Arvaro cor tranvetto j’avemo fatto la stira, a sto frocione, così s’empara a fa le cose pe li cazzi sua senza fa a mezzi coll’amichi, sto cicero. Dopo semo iti a fasse na passeggiata a via nazzionale, avemo cioccato un po’ de stragnere ce n’ereno de tutti i colori bionne more rosce ricce lisce buzzicone scrocchie zinnone o che c’era passato San Giuseppe caa pialla. Adavede che robba! A n’americana j’ho detto dammenbacio, lelletta. Quella me s’è messa a ride, allora Arvaro che è nvidioso me s’è messo de mezzo, sto scrauso, che me piava per culo che ero diventato rosso. M’è annato er sangue all’occhi, mannaggia er tumefatto, j’ho dato un destro. Ahò, secco, li mortacci mia. E’ cascato come na pera. Ciaveva er sangue e la bava e pure l’occhi abbottati. Io me so messo paura, poi quando ho visto che aveva rifatto j’ho detto a strombolo, si ciariprovi t’apro er cuore.

Poi è ita a fenì che er cavallo n’è arivato, a dritta era na sola, evvai così. Io già m’ero scaciottato…

1 luglio 2008

al galoppo

Tempo grave. La città è distratta dal Palio e non pensa a noi. Giorni fa c'erano i dervisci mevlevi di Al Ghuri che, sventolando le gonne, tentavano di raffrescare l'aria, ma niente. Anzi qualcuno se l'è addirittura presa, perché il volteggio durava troppo ed era irrispettoso dei tempi sacri, quelli che una canzone dura tre minuti, una partita quarantacinque a tempo, una trombata insomma dipende e una giornata di lavoro fanno otto ore. Dipende, dice che da certe parti si arriva a undici, e col gatto a nove code. Anche qui, questione di punti di vista: chi spreme dice che così si sposa l'azienda, chi è spremuto dice limortaccisua. Tra un giro e l'altro nello spremiagrumi sfoglio un decreto legge pubblicato martedì che rivolta il paese come un calzino. E' il decisionismo, baby. Un gesto illuminato, che comincia con l'andare verso e finisce in gloria, basta averci la comunicazione a favore. Io la comunicazione non ce l'ho più, perché dentro alla centrifuga i giornali non arrivano. I feed sono i gangli che mi tengono in vita. Aspirandone la sostanza scopro che torna blogbabel, che non è bigbabol ma solo il luogo dove i compagnucci delle tante parrocchiette possono ruzzare un po', infastidendo chi si fa il mazzo per regalare servizi a giro. Non c'è rispetto per chi si fa il mazzo (just a little bit/just a little bit, farebbero le coriste in sottofondo). Nel frattempo noi abbiamo riscritto alcune regole, ci siamo immersi in mare col fuso orario dell'east coast, abbiamo mangiato trippe, capocolli, salmoni e lamponi, stropicciato gatti e ribadito promesse d'eternità. Il lavoro rende liberi, ma a che serve se poi il Palio lo vince l'Istrice?

24 giugno 2008

paura

(facendo il verso a carver)

paura dell'ansia.
paura del vicolo buio.
paura delle curve a sinistra.
paura del cane che mi salta sulle gambe.
paura di cadere saltando gli ostacoli.
paura quando freno in bici e vedo la strada scorrere sotto.
paura se sento frusciare nell'erba.
paura di finire i soldi.
paura col temporale, non sempre, non più.
paura di farsi male, soprattutto con le parole.
paura che il passato ritorni, com'era.
paura di Giancarlo.
paura che il futuro riporti al passato, o che.
paura di svegliarmi che non ci sei.
paura di andarmene dopo.
paura dell'ombra per le scale.
paura di non essere capito.
paura di sentirmi in colpa.
paura che non c'è.
paura della morte.
paura che non c'è.
l'ho già detta.

23 giugno 2008

Evviva!


sono tornate le personcine

19 giugno 2008

light up your tuna salad

Salii in macchina e mi misi più comodo che potevo. Stappai una bottiglia dal six pack di acqua francese da un euro. Buttai giù una lunga sorsata, poi incominciai a scartare il ciaccino sintetico fatto in comode strisce facili da staccare. Aprii la scatola di tuna salad (light). Dentro c'era una morbida crema rosa su cui galleggiava qualche cappero e qualche pezzo di cetriolo. Il profumo era sublime: c'era l'aceto. E poi ce n'era tanta: 250 grammi. Slurp.
Affondai nella crema la prima striscia di ciaccino. La ritirai fuori e me la misi in bocca, assaporando un gustoso boccone di quella pappa prelibata. Masticai soddisfatto, interrompendo la lettura degli squisiti ingredienti dell'insalata per buttare giù un'altra sorsata di limpida acqua francese. Attaccai la seconda striscia, mentre il vento cercava un varco tra le macchine parcheggiate e il cantiere dall'altra parte della strada, e un crocchio di natasce combatteva con la gettoniera dei carrelli. Brindai ai loro occhi celesti stappando la seconda bottiglia del six pack di acqua francese. Chiusi gli occhi, e pensai a Parigi.
(da colazione da Lidl)

18 giugno 2008

Rock in ritardo

Internazionale ha pubblicato un bell'articolo che racconta come Huey Lewis sia un musicista molto amato dai disabili. L'articolo è pieno di delicatezza e di profonda competenza, come sottolinea l'ottimo Mandu di Special Crabs Overlimits, che l'ha messo on line sul suo blog cestistico, facendomi un gran favore, perché volevo postarlo a mia volta. L'ha scritto Katy St.Clair, del san Francisco Weekly. Bello.

17 giugno 2008

cose d'apaz

Come ogni volta si commemora. E stavolta fanno vent'anni. Io però vorrei ricordarmi di me alle prese con i suoi disegni. Perché poi un artista che hai seguito te lo ricordi non perché ti ricordi di lui, ma perché ti ricordi di te che osservi le cose fatte da lui. Nel tempo. Io disegnavo. Quando lo scoprii mi si aprì un mondo, avrò avuto 15 anni e sapevo tenere discretamente la matita in mano. Iniziai a copiare sistematicamente le cose che disegnava lui. Cioè, a introdurre dei particolari ripresi dai suoi disegni, un'ombra, un tratto, un modo di rappresentare qualcosa. Bocche, occhi, denti, mani, piedi, posture. Ho imparato da lui a disegnare i genitali maschili in un certo modo e li ho rifatti in mille vignettine dedicate agli amici. I piedi, un buffo modo di lavorarli a partire dall'alluce. Il modo di distribuire la peluria e di disegnare le gambe in azione. C'era quel tratto sghembo, quel senso d'abbozzo, di uscito-da-quaderno che non avevi come modello a disposizione se ti mettevi a ridisegnare topolino, o i fumetti marvel, o i peanuts, o mafaldita o non so che. Era un far viaggiare la matita fuori dagli schemi, mettersi a schizzare personecoseanimali e a scriverci sopra improvvisando sketch di lettering, riempiendo gli spazi vuoti, andando a inventare forme diverse di rappresentare il fumetto (la nuvoletta, intendo). Poi uno cresce e smette pure di disegnare, ma come si può dimenticare tutto quel lavoro di fantasia? A me Paz mi ha fatto crescere, in un certo senso. Cioè, sono cresciuto leggendo lui e ridisegnandomelo. Mi manca lui, ma soprattutto mi manco io. Quell'io che sapeva aggrapparsi a una matita, perché il tempo era ancora tutto di là da venire. Per Andrea non ce n'era tanto, ma non ne ha sprecato un secondo. Almeno questo.

15 giugno 2008

Perché ci vuole orecchio

A un certo punto arrivò. non so da dove. Era verde e aveva una custodia di finta pelle che ne lasciava fuori un pezzo, con l'occhio per regolare le frequenze. Era una radiolina di non so che marca, bene inestimabile e prezioso, magico oggetto che rimbalzava la radiocronaca del secondo tempo delle partite e ci potevi camminare come se fossi grande, tenendola attaccata all'orecchio. Avevamo una radio elettrica, a casa, che era bianca, tutta abbombata, con le frequenze dipinte in oro. I nomi di tutte quelle località esotiche. Mio padre chino sulla schedina con l'orecchio proteso verso quella radio è un'immagine nitidissima ancora oggi. L'altra radio era più moderna, e anche molto meno bella. Aveva una custodia di finto cuoio tutta grattata e mia madre la ascoltava sempre. Mi ricordo la domenica mattina col Gran Varietà dove c'era Walter Chiari, la Corrida di Corrado, Non so che con Delia Scala, e Hit Parade con i Beatles, Gilbert O'Sullivan, Angie degli Stones, Mind Games di John Lennon, Hurricane di Bob Dylan che già facevo le medie. L'orecchio era teso a cogliere il corpo del suono che era esile e sfuggiva, ma portava cose di inestimabile valore. Erano scoperte, erano segni che scandivano la giornata. Mia nonna ascoltava un programma di musica popolare che andava la sera, saranno state le sei, le sette, non so. C'erano tutte queste canzoni, la Calabrisella, lu Cardillo. Me le ricordo ancora, come fosse ieri. Ho iniziato lì, forse, ad avere la mania per le cose che si dicono e si cantano in tutti i posti, quelle del posto, intendo, che mi sembrano sempre straordinariamente belle. Mi accorgo che a scriverne si aprono strade a non finire, e così era anche allora. Partivano tutte dall'orecchio e si liberavano, sfavillando, in tutte le direzioni. Benedetta quella radiolina.