e tornavo
in questa città che annega nella retorica e si stordisce di confusione e di doppie file a destra e a sinistra. Il cimitero acattolico sabato mattina era un'isola felice, col sole anche se c'era un soffio di vento maligno, ma fuori. Lì c'era tiepido e verde, con la gentilezza del signore che ci ha dato le spiegazioni prima, e le lapidi tutte vicine vicine, come in un piccolissimo Père Lachaise su misura per tutta questa gente dal nome esotico che t'immagini sia stata eccentrica e stralunata e cerchi di pensare a come possa essere stata sorpresa dalla morte così lontano da casa. I gatti intanto si godono il sole, con quelli della lav che li fotografano, liberi dall'angoscia che li costringe a pensare al Palio e sinceramente presi dalla salvaguardia del micio nero. Che figurarsi se non la condividiamo... Davanti al letto di riposo di qualche nobile kazako un micio si gonfia tutto e gnaola piano cercando di sostenere lo sguardo di un altro che gli si fa incontro, grosso e silenzioso, non un pelo arruffato, non una mossa di troppo, in un interminabile surplace. Alla fine il micio gonfio cede il passo e si allontana, appena in tempo per ridarsi un contegno smorfioso, incontrandomi sul vialetto. Al mercato di Testaccio vendono le scarpe, come sempre. Sul tronchetto dell'A24 stasera erano tutti incollati all'asfalto. Il miraggio del centro commerciale che non si sa perché, si dice che te lo impongono. Sembravano felici di starsene in fila, invece, per passare il pomeriggio inzeppati lì dentro. Volontari. Checché.
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