Ubaldo
Ubaldo teneva le unghie lunghe e si pettinava con la scriminatura a destra, anche se non aveva più capelli nella zona in cui gli sarebbero serviti per farsi una riga decente. Non era, questa, una buona ragione per non farlo. Usava un talco che si mescolava al suo odore e finiva per avvicinarsi al lezzo di un che di fritto. Portava sempre delle camicie stirate impeccabilmente, con l'ultimo bottone aperto. Se la camicia era una button down andavano rigorosamente slacciati i bottoncini del collo. Indossava sempre pantaloni di cotone blu o chiari. Quando doveva presentarsi in modo più elegante si metteva quelli del vestito buono, un frescolana grigio scuro, con sotto i mocassini comodi e un po' sformati, che ne tradivano la pianta larga. Da piccolo plantigrado era anche la peluria: irsutissimo, Ubaldo aveva peli ovunque, persino sul dorso della mano e sulle orecchie. Questo rendeva drammatici, talvolta, i suoi problemi di traspirazione, ma per lui la cosa non era importante. L'avvento dello stick deodorante da usare sotto le ascelle lo aveva lasciato indifferente. Al tempo svernava all'istituto tecnico, doveva formarsi e non aveva tempo da perdere con queste frivolezze. Ubaldo portava occhiali spessi, era appassionato di motori e aveva un'ossessione vera e propria per le linee esatte. Non sopportava di vedere oggetti fuori posto, nel senso geometrico del termine. Nel contempo, era incapace di usare i colori coordinandoli al meglio: il cozzo cromatico era una delle sue specialità, come le giacchette bianche e l'infinita serie di tic che sciorinava nei soliloqui scanditi dall'oscillazione ritmata dell'intero corpo. In queste circostanze Ubaldo somigliava a un topone che se ne stava eretto a concionare, col suo linguaggio asfittico e contorto. Era cattivo. Odiava qualunque manifestazione politicamente corretta e passava il tempo a guardare il culo a tutte le donne che incrociava.
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