11 luglio 2008

Estatiè


C'è un buco nero che si porta via il tempo, in quest'estate che si sta da schifo ad ascoltare il vento che ti canzona. Ho attraversato mezza Italia e mi sono sentito libero, ma torno a girare in tondo con quattro altri sfigati come me e mastico un po' amaro. Eppure la stagione prometterebbe vacanze e profumi. Arriverà agosto coi suoi cavalli e noi ce ne andremo altrove, magari all'Uccellina, visto che la Camargue la inquinano e al norte ci face freddo, la Tùrchia è più lontana di quanto non si possa andare e Roma comunque non avrà se non per poco di che arroventarci i calcagni. Mi agrappo agli stipiti per rallentare e mi deformo per la decelerazione. Venti giorni serviranno a far posare la polvere e ad aspettare che si faccia chiaro. E nel frattempo, si avanza a scrosci, trabocchi, ansiti e madonne. Protrusi ma felici.

4 luglio 2008

Ahò, che fichi

Allora annassimo alla sala corse quella der casino all’avignonesi, mpò più in là der messaggero. C’era st’amico ch’aveva risparambiato dù scudi e je dicevamo giochete sto cavallo bono, che er cognato der fattorino dell’atacche quello chii capelli panonti, caa sgrima e co tutta a forfora sur giacchetto, che bazzicava er genero der monnezzaro, aveva inteso che sto cavallo dice che era bono, sicuro. Ahò, che te credi che ciannavamo tutti i giorni a giocà a li cavalli? Ma che cazzo stai a dì, ma si nun c’avevamo na lira pe piagne, che a pora mamma passava e giornate sane a riccoje la cicoria ar pratone! Solo che ar pratone ce stava pure la banda de spugnetta, che sì te beccaveno da solo erano cazzi. Minimo minimo te corevano appresso e te toccava fa a botte, si ciavevi li sordi peggio che annà de notte. Eppoi che sordi ce potevamo avé? Già era tanto che magnavamo pasta e patate… Comunque si nun te facevi cioccà te potevi annà a riccoje la frutta in der giardino dee monache. Mortacci loro a robba che ciavevano! E bricocole! E cerase, ma quelle toste, no e visciole, li graffioni! Ammazza quant’ereno boni! E e persiche? Squisite! Na vorta ciavevo na fame che ncevedevo e me so magnato le cocce dee fave ppputo che SCHIFO! Ar sor Amilcare, invece, je piaceveno, see magnava co tutte e cocce. Pure i cachì che allappavano se magnava. A me me facevano venì na sete che pareva che m’ero magnato le sarache. Ansomma, pedditte annassimo all’avignonesi. Semo arivati aa stazzione termini cor C1, se semo comprati le fusaje da giggetto prima de partì a piazza dii mirti, poi quer cojone de Arvaro ha voluto pià er tranvetto e allora se semo separati. Comunque er cartoccetto de fusaje io moo sò magnato tutto, ancora n’eravamo arivati aa maranella e già l’avevo finite tutte. Er ciccione invece se magnava li bruscolini, ammazzelo che schifo! Aveva smonnezzato tutto er tranve, er fattorino je fa a maschio, l’animella tua, ma che a casa tua fai ste porcherie? E che sarebbe? Hai zozzato tutto, ammappete, io o farebbe aripulì a tù madre, anvedi. Allora l’avemo preso per culo daa stazzione fino a e lazziali, poi quanno che è arivato Arvaro cor tranvetto j’avemo fatto la stira, a sto frocione, così s’empara a fa le cose pe li cazzi sua senza fa a mezzi coll’amichi, sto cicero. Dopo semo iti a fasse na passeggiata a via nazzionale, avemo cioccato un po’ de stragnere ce n’ereno de tutti i colori bionne more rosce ricce lisce buzzicone scrocchie zinnone o che c’era passato San Giuseppe caa pialla. Adavede che robba! A n’americana j’ho detto dammenbacio, lelletta. Quella me s’è messa a ride, allora Arvaro che è nvidioso me s’è messo de mezzo, sto scrauso, che me piava per culo che ero diventato rosso. M’è annato er sangue all’occhi, mannaggia er tumefatto, j’ho dato un destro. Ahò, secco, li mortacci mia. E’ cascato come na pera. Ciaveva er sangue e la bava e pure l’occhi abbottati. Io me so messo paura, poi quando ho visto che aveva rifatto j’ho detto a strombolo, si ciariprovi t’apro er cuore.

Poi è ita a fenì che er cavallo n’è arivato, a dritta era na sola, evvai così. Io già m’ero scaciottato…

1 luglio 2008

al galoppo

Tempo grave. La città è distratta dal Palio e non pensa a noi. Giorni fa c'erano i dervisci mevlevi di Al Ghuri che, sventolando le gonne, tentavano di raffrescare l'aria, ma niente. Anzi qualcuno se l'è addirittura presa, perché il volteggio durava troppo ed era irrispettoso dei tempi sacri, quelli che una canzone dura tre minuti, una partita quarantacinque a tempo, una trombata insomma dipende e una giornata di lavoro fanno otto ore. Dipende, dice che da certe parti si arriva a undici, e col gatto a nove code. Anche qui, questione di punti di vista: chi spreme dice che così si sposa l'azienda, chi è spremuto dice limortaccisua. Tra un giro e l'altro nello spremiagrumi sfoglio un decreto legge pubblicato martedì che rivolta il paese come un calzino. E' il decisionismo, baby. Un gesto illuminato, che comincia con l'andare verso e finisce in gloria, basta averci la comunicazione a favore. Io la comunicazione non ce l'ho più, perché dentro alla centrifuga i giornali non arrivano. I feed sono i gangli che mi tengono in vita. Aspirandone la sostanza scopro che torna blogbabel, che non è bigbabol ma solo il luogo dove i compagnucci delle tante parrocchiette possono ruzzare un po', infastidendo chi si fa il mazzo per regalare servizi a giro. Non c'è rispetto per chi si fa il mazzo (just a little bit/just a little bit, farebbero le coriste in sottofondo). Nel frattempo noi abbiamo riscritto alcune regole, ci siamo immersi in mare col fuso orario dell'east coast, abbiamo mangiato trippe, capocolli, salmoni e lamponi, stropicciato gatti e ribadito promesse d'eternità. Il lavoro rende liberi, ma a che serve se poi il Palio lo vince l'Istrice?