29 maggio 2008

Ubaldo

Ubaldo teneva le unghie lunghe e si pettinava con la scriminatura a destra, anche se non aveva più capelli nella zona in cui gli sarebbero serviti per farsi una riga decente. Non era, questa, una buona ragione per non farlo. Usava un talco che si mescolava al suo odore e finiva per avvicinarsi al lezzo di un che di fritto. Portava sempre delle camicie stirate impeccabilmente, con l'ultimo bottone aperto. Se la camicia era una button down andavano rigorosamente slacciati i bottoncini del collo. Indossava sempre pantaloni di cotone blu o chiari. Quando doveva presentarsi in modo più elegante si metteva quelli del vestito buono, un frescolana grigio scuro, con sotto i mocassini comodi e un po' sformati, che ne tradivano la pianta larga. Da piccolo plantigrado era anche la peluria: irsutissimo, Ubaldo aveva peli ovunque, persino sul dorso della mano e sulle orecchie. Questo rendeva drammatici, talvolta, i suoi problemi di traspirazione, ma per lui la cosa non era importante. L'avvento dello stick deodorante da usare sotto le ascelle lo aveva lasciato indifferente. Al tempo svernava all'istituto tecnico, doveva formarsi e non aveva tempo da perdere con queste frivolezze. Ubaldo portava occhiali spessi, era appassionato di motori e aveva un'ossessione vera e propria per le linee esatte. Non sopportava di vedere oggetti fuori posto, nel senso geometrico del termine. Nel contempo, era incapace di usare i colori coordinandoli al meglio: il cozzo cromatico era una delle sue specialità, come le giacchette bianche e l'infinita serie di tic che sciorinava nei soliloqui scanditi dall'oscillazione ritmata dell'intero corpo. In queste circostanze Ubaldo somigliava a un topone che se ne stava eretto a concionare, col suo linguaggio asfittico e contorto. Era cattivo. Odiava qualunque manifestazione politicamente corretta e passava il tempo a guardare il culo a tutte le donne che incrociava.

ebenezer

Ebenezer ama alzarsi presto, la mattina. Alle cinque, caschi il mondo, è già in piedi a lavare la macchina. Cioè, una delle sue macchine. Poi va a curarsi la campagna, seguito dalle gatte che gnaolano e si strusciano. Le lascia fare: ha sempre amato sentirsi lisciare, da umani o da felini che differenza fa? Meglio i felini, direbbe lui, visto che gli umani sono smidollati senza ritegno, da tenere stretti nel pugno e da piegare alla propria volontà. Quel pugno che, diceva quello, può essere ferro e può essere piuma. Lo sa bene il malcapitato che quei pugni li ha assaggiati, e quanti ne ha stesi, il vecchio Ebe! Da quando a undici anni ne sdraiò un paio, a scuola, che sembrava avessero venticinque anni. Sbèm. Un cazzottone nei coglioni, ché chi mena per primo mena due volte, e tanti saluti a quelli che provavano a fare i nonni. "I calci io non li prendo. Li do". Questo era Ebe, fin dai primi passi.

27 maggio 2008

nessuno pensa al tempo

Il tempo fa la differenza. Lo sa bene chi se ne appropria, del tempo degli altri. E c'è tempo e tempo. Un'ora passata come si deve ne vale cento sprecate senza che ci si costruisca niente di buono. Dovremmo poterlo vendere bene, il nostro tempo. Perché a usarlo bene si può essere felici. E non è usato bene, forse, il tempo venduto a qualcuno perché ci si arricchisca lui e solo lui. Non è solo il tempo passato con chi si ama, quello speso bene. E' anche quello speso per migliorarsi e per stare meglio con se stessi. Quelli che comprano il nostro tempo pensano di poterne disporre a piacimento. Almeno alcuni che conosco. Pensano che comprando il tempo di una persona se ne possa disporre da padroni. Non del tempo. Della persona. E' triste solo a pensarci, ma chi fa così è incapace di concepire la felicità. Perché quel tempo comprato e rivendicato con la voce grossa è sottratto alla vita delle persone, se si fa in modo che quello non sia un tempo di crescita, ma solo di semplice e atroce sottomissione. I meccanismi che entrano in gioco sono delicati e pericolosi: spesso chi entra in un modo così violento e invasivo nella vita degli altri ne ottiene l'attenzione esclusiva e ne paralizza in qualche modo la volontà. Bisogna sapersi sottrarre e non è facile. In pochi ci riescono. Questo spiega alcune cose sull'Italia, per dire. Ma non solo.

Respirare

Quello col tempo è un braccio di ferro continuo. Uno trova il modo di recuperarlo e lo riperde, poi, con gli interessi. Si rende libero dal lavoro e incontra il lavoro che rende liberi. Un lager metaforico, per fortuna. Ma anche no. Bisogna trovarci dentro il percorso giusto, perché poi queste cose servono sempre. A trovare il modo di uscirne, ma anche a imparare l'assiduità, la capacità di fare qualcosa meglio che si può isolandosi dal resto e tutto il solito pacchetto di cose che fanno di un lavoro una scuola. Certo, però, che lavorare stanca...

23 maggio 2008

paura

quando hai tanta paura, va bene tutto quello che te la fa passare (cit.)