11 marzo 2008

trombonismi

Uno che aveva la pretesa di liquidare la musica popolare (ma soprattutto il pubblico che l'ascoltava e che era anche il pubblico dei media in generale) con quattro bastonate era Adorno. Ma per fortuna c'erano mille storie che scorrevano sotto il sole e che alimentavano uno scambio dove il pubblico è diventato sempre meno passivo, man mano che si sono resi disponibili, riproducibili e reinterpretabili modelli, spartiti, incisioni e poi filmati e foto e programmi per lavorarsi la musica in proprio e spazi dove farla circolare a gratis. Non c'è interruzione in questa sequenza. Stamattina ho sentito Brian Eno che ha detto che every tuesday se ne va a cantare in un coro a cappella. Così, c'era un tempo in cui la musica si teneva sotto controllo. Bastava seguire. Oggi non è più così, e meno male. Anche perché non esiste l'oggettività nel rapporto tra il pubblico e la musica. Uno sente quello che gli piace e descrive come vuole quello che sente. E i critici restano, come nel cinema e nel teatro, quelli che parlano della musica che non sono riusciti a fare. Una forza in perenne conflitto con quelli che la musica la fanno. Oppure in adorazione, ma mai in grado di giudicare oggettivamente un'opera d'arte, se non producendo in proprio l'arte di raccontarla, l'opera. Il che è come scrivere di pallone: lo si può raccontare bene, anche benissimo, ma il gesto rivoluzionario dell'artista resta di chi sa immaginarlo ed eseguirlo. E poi chi è più bravo lo racconta meglio.
Ciò detto, mi piacerebbe se si potesse elaborare un modello in grado di stabilire chi fu più rivoluzionario tra Louis Armstrong e Elvis, per fare due nomi a caso...

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