17 giugno 2008

cose d'apaz

Come ogni volta si commemora. E stavolta fanno vent'anni. Io però vorrei ricordarmi di me alle prese con i suoi disegni. Perché poi un artista che hai seguito te lo ricordi non perché ti ricordi di lui, ma perché ti ricordi di te che osservi le cose fatte da lui. Nel tempo. Io disegnavo. Quando lo scoprii mi si aprì un mondo, avrò avuto 15 anni e sapevo tenere discretamente la matita in mano. Iniziai a copiare sistematicamente le cose che disegnava lui. Cioè, a introdurre dei particolari ripresi dai suoi disegni, un'ombra, un tratto, un modo di rappresentare qualcosa. Bocche, occhi, denti, mani, piedi, posture. Ho imparato da lui a disegnare i genitali maschili in un certo modo e li ho rifatti in mille vignettine dedicate agli amici. I piedi, un buffo modo di lavorarli a partire dall'alluce. Il modo di distribuire la peluria e di disegnare le gambe in azione. C'era quel tratto sghembo, quel senso d'abbozzo, di uscito-da-quaderno che non avevi come modello a disposizione se ti mettevi a ridisegnare topolino, o i fumetti marvel, o i peanuts, o mafaldita o non so che. Era un far viaggiare la matita fuori dagli schemi, mettersi a schizzare personecoseanimali e a scriverci sopra improvvisando sketch di lettering, riempiendo gli spazi vuoti, andando a inventare forme diverse di rappresentare il fumetto (la nuvoletta, intendo). Poi uno cresce e smette pure di disegnare, ma come si può dimenticare tutto quel lavoro di fantasia? A me Paz mi ha fatto crescere, in un certo senso. Cioè, sono cresciuto leggendo lui e ridisegnandomelo. Mi manca lui, ma soprattutto mi manco io. Quell'io che sapeva aggrapparsi a una matita, perché il tempo era ancora tutto di là da venire. Per Andrea non ce n'era tanto, ma non ne ha sprecato un secondo. Almeno questo.

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