11 febbraio 2008

the things they carried

Mi piace molto l'idea di descrivere le persone attraverso alcuni particolari. Tipo le cose che si portano dietro. E' qualcosa che viaggia su binari diversi, a seconda che si pensi a personaggi in cammino forzato, come dei soldati su un percorso in guerra, o piuttosto a persone che vanno verso la loro vita con fardelli che scelgono di portarsi dietro. Ma non parliamo soltanto di carichi esistenziali. Anche, per esempio, di tic e di modi di mettersi di fronte al mondo. Le maschere che ci mettiamo sono tante, ma quello che meglio ci descrive è il gesto che compiamo quando pensiamo che nessuno ci veda. Si dice che i gatti siano molto divertenti da guardare se non si rendono conto di essere osservati. E' vero. Io ho avuto diversi gatti e posso testimoniarlo. Se è vero che le persone sono quando non pensano, si può descriverle attraverso quello che si portano dietro a maggior ragione: perché spesso ci si caricano le tasche, quelle vere e quelle metaforiche, in momenti in cui si è soli e non si sta a pensarci troppo. Sarebbe bello imparare a descrivere la gente per quello che si porta dietro: siano bottiglie d'acqua e filo interdentale, preservativi, cingomme, penne biro masticate, mozziconi di matita dell'ikea, vecchie carte d'abbonamento scadute, occhiali rotti nel taschino, surrogati di aipod scarichi, bauli di tracotanza, capelli con le ritrose, psoriasi alle dita, mozziconi di sigarette, tende con picchetti e senza martello, dame di lacrime non versate, copertine di dischi di bowie con dentro ellepì di renato zero, carcasse di vecchie macchine, accendini scarichi, ricordi di calze strappate e di canzoni ascoltate nelle radio a valvole, facce di morti guardate mentre gli altri si muovono come se nessuno potesse ascoltarli o vederli. Come se il mondo non esistesse, fuori dal proprio stagno di veleno.

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