28 gennaio 2008

Amiri Baraka

il manifesto, giovedì 8 aprile 2004

La mia rivoluzione afro-comunista
di Mauro Zanda

Parla il poeta Amiri Baraka, di passaggio a Roma per la rassegna "New York is Now!". L'urgenza di rovesciare Bush, le canzoni ancora attuali di Curtis Mayfield, il ritorno dei giovani all'Islam, l'America nera priva di una vera leadership, le contraddizioni interne alla scena hip hop, la mente perversa di chi ha inventato la slam poetry... "Vedo affacciarsi una nuova Harlem Renaissance"

Seduto di fronte ad un buon bicchiere di vino rosso, fisico minuto, scoppola e fazzoletto al collo, Amiri Baraka ricorda con piacere i suoi numerosi passaggi romani ai tempi in cui l'amico Renato Nicolini animava l'estate romana. Stavolta le direttrici della vita e dell'arte lo riportano nella città eterna per un concerto speciale in cui - voce e poesia - si ritrova ad accompagnare la nuova scena del jazz radicale newyorkese in una stimolante rilettura delle canzoni di Curtis Mayfield.
Poeta, saggista, scrittore, critico musicale e drammaturgo, Baraka deve la sua fama internazionale soprattutto a un testo, Blues People (ristampato in Italia da Shake), considerato alla stregua di bibbia della cultura popolare afro-americana. Un libro pubblicato originariamente nel 1963 che, a quarant'anni di distanza, possiede ancora intatta la portata innovativa della sua prospettiva critica, con una prima parte fortemente caratterizzata da un approccio antropologico e una visione d'insieme che oggi non faticheremmo ad accostare a quella anti-anti-essenzialista proposta di recente da Paul Gilroy in The Black Atlantic.
Personalità febbrile e poliedrica, Amiri Baraka (all'anagrafe LeRoi Jones) nasce come poeta beat negli anni '50 al fianco di Allen Ginsberg, ma ben presto avrebbe rivisto le sue posizioni artistiche in senso più militante: "Non ero che un bohémien di colore, e non potevo più esprimermi in quel modo. Sarei divenuto forte abbastanza da dire ciò che c'era da dire per tutti noi: per i neri certo, ma anche per tutti coloro che cercavano giustizia". Fu così che a metà degli anni '60 abbraccia il nazionalismo nero e partecipa attivamente alla rivolta di Newark per la quale nel 1968 verrà condannato al carcere con l'accusa di trasporto d'armi. A partire dal 1975 rivedrà anche le sue posizioni separatiste, sposando con fervore la dottrina marxista e restando fino ad oggi - per sua stessa definizione - un irriducibile afro-comunista.

Perché proprio le canzoni di Curtis Mayfield?
L'idea è stata del bassista William Parker, ma ho partecipato volentieri. Il suo messaggio è ancora attuale e tutt'altro che concluso. Canzoni come People Get Ready, Keep On Pushing, We The People Who Are Darker Than Blue riflettono perfettamente la stagione del movimento per i diritti civili. Quella rivoluzione culturale va portata a termine oggi come allora, bisogna rovesciare personaggi dell'ultradestra come Bush o Berlusconi in favore di una politica di stampo socialista.

Come ha reagito la comunità afro-americana di fronte alla nuova crociata anti-Islam portata avanti dopo l'11 settembre dall'amministrazione Bush?
La comunità nella sua stragrande maggioranza è contraria. Non ho mai visto come negli ultimi due anni un ritorno ai costumi dell'Islam da parte dei neri. Anche i ragazzi hanno avuto questo tipo di reazione; molti di loro adesso sfoggiano dei copricapo mussulmani che, anche fosse solamente una moda, è comunque sintomatico di un clima ben preciso.

Un paio d'anni fa il cantante Harry Belafonte ha bollato Colin Powell come un moderno schiavo domestico. Eppure quelle dichiarazioni sollevarono un vespaio di polemiche anche tra gli intellettuali neri. Qual è la sua posizione?
Non credo si possa definire Colin Powell uno Zio Tom, semplicemente perché è parte integrante di quella stessa classe di potere. Un membro espresso direttamente dalla nuova casta imperiale degli Stati Uniti d'America che, se è un servo, lo è nella misura in cui parte della borghesia serve un'altra parte della borghesia. Lui e Condoleeza Rice rappresentano un trick per le élite afro-americane, sono figure meramente rappresentative, facce nere messe lì in bella vista per legittimare lo status democratico e multirazziale di un gotha che possiede invece radici profondamente razziste e fondamentaliste. Prendi la storia dell'Affirmative action (corsie preferenziali atte a garantire pari opportunità d'accesso allo studio per le minoranze etniche, ndr): è stato tutto un gioco delle parti, con Bush apertamente contrario, in linea con la componente più reazionaria del Partito repubblicano e Rice che invece si è schierata a favore, così da tenere buona la borghesia nera. Stanno privatizzando tutto, ora si sono concentrati sulla spesa sociale, una cosa da abbattere definitivamente e poter poi reinvestire gli utili in borsa.

Un altro intellettuale afro-americano di spicco, Cornell West, sostiene che mai come in questi anni l'America nera viva un profondo vuoto culturale in termini di leadership.
Sì, sono d'accordo. I leader attuali sono dei falsi leader, più preoccupati a dare delle risposte al ceto medio nero che non ai poveri e ai diseredati. Ci sono un'infinità di problemi che ancora oggi in Usa affliggono la nazione dalla pelle scura, e sai qual è la linea di questi sedicenti leader? Che il problema principale risiede nell'attitudine sbagliata degli stessi neri. Una vera follia.

La parola ha sempre rappresentato un elemento cardine nella complessa cosmogonia afro-americana. Da qualche anno si è affacciato un nuovo stile di poesia improvvisata, lo slam. Che idea s'è fatto al riguardo?
Per me la slam poetry non ha alcun valore artistico. Tentare di introdurre il capitalismo nella poesia attraverso questa cultura del chi vince e chi perde è qualcosa che poteva nascere solo dalla mente perversa di alcuni bianchi di Chicago. D'altro canto esistono un sacco di nuovi incredibili talenti in giro, vedo una nuova Harlem Renaissance che si affaccia, poeti come Sekou Sundiata o mio figlio Ras, che ha fatto cose straordinarie assieme a Lauryn Hill.

L'hip hop è ancora la forma espressiva più importante per capire le molteplici contraddizioni in seno all'America nera?
Senza dubbio, anche se tutto è vincolato dal grande mercato. Oggi i neri controllano solo apparentemente le proprie edizioni musicali; a ben guardare è sempre tutto in mano ai grandi gruppi economici e se la tua proposta non è funzionale al sistema sei automaticamente tagliato fuori dalla grande distribuzione. Ti faccio una domanda: nell'ultimo decennio le figure predominanti uscite dall'universo hip hop sono state 2-Pac e Notorious Big, entrambi morti. Chi controlla oggi i loro diritti discografici?

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