19 gennaio 2008

Sempre a parlare dei Clash

Leggevo un articolo e un'intervista a Federico Guglielmi su Onda Rock. Mi vengono in mente un sacco di cose, schiacciate tutte insieme dalla prospettiva incrostata di trent'anni di cose successe. Se consideriamo la cosa dalla parte giusta, cioè quella di semplici appassionati per una band di rock'n roll che per un certo periodo ha portato la bandiera del punk (sì e no, perché finché sono esistiti i Sex Pistols i Clash erano in ombra, relegati al rango di band politicizzata che poi passò agli Stiff Little Fingers di Jake Burns), il tratto saliente dei Clash, a parte il fatto del contratto firmato per la CBS, sta probabilmente nell'aver dato una direzione all'onda infuriata del punk, lasciandoselo alle spalle alle prese con l'autoavvitamento al conformismo della musica-di-moda. Il salto vero sta nel periodo di torrenziale vena creativa, tra London Calling e Sandinista, che regala un paradigma articolato in 50 pezzi o quasi alla gran parte dei musicisti che verranno. In molti pagano un tributo ai Clash, che erano molto più di una band straordinariamente cool almeno in due dei suoi componenti (Joe e Paul) e così modernamente tendente alla combinazione di elementi eterogenei tra loro. Detto questo, la forza devastante di Tommy Gun, scandita dalla batteria stratosferica di Topper Headon viene prima di quella svolta e si deve anche alla criticatissima regia di Sandy Pearlman, ex Blue Oyster Cult, che c'entrava come i cavoli a merenda. Ma senti che roba, cavolo, senti che pezzo mozzafiato...

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