31 gennaio 2008

storie

Insomma, Roger Schank dice che la conoscenza è in larga misura strutturata secondo un modello narrativo, incentrato su storie. Quindi non c'è nessuna ragione al mondo per non raccontarsele, ecco. Anche se in qualche modo cozzano col rigore del pensiero logico. A pensarci bene è un motodo familiare per tutti, quello di sottrarsi al rigore o di starci dentro utilizzando delle piccole astuzie, come quei bambini ai quali legavano qualcosa al braccio destro per fargli distinguere la destra dalla sinistra. Mia sorella era mancina e la educarono a scrivere-fare-mangiare per forza con la destra, che la sinistra era male. Non s'è mai capito perché, a parte il fatto che la sinistra era la parte del diavolo. Però io con la sinistra non so scrivere manco a livello di prima elementare, e lei in questo modo è venuta su ambidestra. Un modo per ottenere inconsapevolmente risultati migliori, scazzando completamente il presupposto logico. O forse gli ambidestri sono più irrisolti di quelli che fanno le cose tutte con la destra o con la sinistra. Degli specialisti, insomma.

prima che finisca

Bisogna dargliene atto: questo gennaio del 2008 è stato un mese di merda come pochi.

metapiano d'azione

Non sono gli scripts, il problema, e se è per questo anche i piani si combinano bene. I metapiani, però, a volte non funzionano. Me lo ripetevo stamattina mentre ciondolavo per Via Montanini, facendo resistenza al tentativo d'aggressione del depresso che tentava di prendersi la scena. Metapiani che non funzionano, o semplice difficoltà a imbroccare la sequenza giusta, quando ci sono un milione di cose da fare per uscire dallo stato in cui uno non dovrebbe avere, in teoria, un cazzo da fare, essendo inoccupato, espulso dal mondo produttivo e che? Proprio questo è stato il punto d'innesco: il pensiero (tipico) che dice: sì, sono arrivato in città come gli altri alle otto e mezza, ma io in realtà non ho un cazzo da fare, mi mischio a loro ma non sono come loro. Tanto per semplificare. Che ci vuoi fare, si cede ma poi si riparte, l'importante è evitare la passività e cercare di andare verso qualcosa di meglio. Lo stiamo facendo. Nel frattempo scopro che Prodi, alla guida dell'ormai sfiduciato manipolo di protervi ministri di destra, ci ha allungato la disoccupazione ordinaria di un terzo, portandola da sei a otto mesi. Grazie, Romano. So che non mi servirà, perché me la caverò molto prima, ma sei stato un amico lo stesso.

30 gennaio 2008

willing suspension of disbelief

lo cita eio, il vecchio Samuel T., e fa venire in mente un sacco di volte che la willing suspension of disbelief fa la differenza, e fa anche un po' ridere. Per esempio, quando parla il papa...

a proposito di questo, volevo dire un'altra cosa, ma me la sono dimenticata. Poi ci torno

28 gennaio 2008

Blues people

Sto lavorando fitto fitto sul testo di LeRoi Jones, alias Amiri Baraka, che più sotto ho presentato. Trattasi dell'analisi del cammino degli afroamericani (nel libro, uscito nel 1963, definiti negri, antepolitically correct ma con una certa dura efficacia) dalla schiavitù alla piena cittadinanza americana, attraverso la musica più strettamente legata a loro. il blues, e il Jazz. Perciò sto per diventare un po' monomaniaco. Mi scuso con i miei cinque lettori...

Amiri Baraka

il manifesto, giovedì 8 aprile 2004

La mia rivoluzione afro-comunista
di Mauro Zanda

Parla il poeta Amiri Baraka, di passaggio a Roma per la rassegna "New York is Now!". L'urgenza di rovesciare Bush, le canzoni ancora attuali di Curtis Mayfield, il ritorno dei giovani all'Islam, l'America nera priva di una vera leadership, le contraddizioni interne alla scena hip hop, la mente perversa di chi ha inventato la slam poetry... "Vedo affacciarsi una nuova Harlem Renaissance"

Seduto di fronte ad un buon bicchiere di vino rosso, fisico minuto, scoppola e fazzoletto al collo, Amiri Baraka ricorda con piacere i suoi numerosi passaggi romani ai tempi in cui l'amico Renato Nicolini animava l'estate romana. Stavolta le direttrici della vita e dell'arte lo riportano nella città eterna per un concerto speciale in cui - voce e poesia - si ritrova ad accompagnare la nuova scena del jazz radicale newyorkese in una stimolante rilettura delle canzoni di Curtis Mayfield.
Poeta, saggista, scrittore, critico musicale e drammaturgo, Baraka deve la sua fama internazionale soprattutto a un testo, Blues People (ristampato in Italia da Shake), considerato alla stregua di bibbia della cultura popolare afro-americana. Un libro pubblicato originariamente nel 1963 che, a quarant'anni di distanza, possiede ancora intatta la portata innovativa della sua prospettiva critica, con una prima parte fortemente caratterizzata da un approccio antropologico e una visione d'insieme che oggi non faticheremmo ad accostare a quella anti-anti-essenzialista proposta di recente da Paul Gilroy in The Black Atlantic.
Personalità febbrile e poliedrica, Amiri Baraka (all'anagrafe LeRoi Jones) nasce come poeta beat negli anni '50 al fianco di Allen Ginsberg, ma ben presto avrebbe rivisto le sue posizioni artistiche in senso più militante: "Non ero che un bohémien di colore, e non potevo più esprimermi in quel modo. Sarei divenuto forte abbastanza da dire ciò che c'era da dire per tutti noi: per i neri certo, ma anche per tutti coloro che cercavano giustizia". Fu così che a metà degli anni '60 abbraccia il nazionalismo nero e partecipa attivamente alla rivolta di Newark per la quale nel 1968 verrà condannato al carcere con l'accusa di trasporto d'armi. A partire dal 1975 rivedrà anche le sue posizioni separatiste, sposando con fervore la dottrina marxista e restando fino ad oggi - per sua stessa definizione - un irriducibile afro-comunista.

Perché proprio le canzoni di Curtis Mayfield?
L'idea è stata del bassista William Parker, ma ho partecipato volentieri. Il suo messaggio è ancora attuale e tutt'altro che concluso. Canzoni come People Get Ready, Keep On Pushing, We The People Who Are Darker Than Blue riflettono perfettamente la stagione del movimento per i diritti civili. Quella rivoluzione culturale va portata a termine oggi come allora, bisogna rovesciare personaggi dell'ultradestra come Bush o Berlusconi in favore di una politica di stampo socialista.

Come ha reagito la comunità afro-americana di fronte alla nuova crociata anti-Islam portata avanti dopo l'11 settembre dall'amministrazione Bush?
La comunità nella sua stragrande maggioranza è contraria. Non ho mai visto come negli ultimi due anni un ritorno ai costumi dell'Islam da parte dei neri. Anche i ragazzi hanno avuto questo tipo di reazione; molti di loro adesso sfoggiano dei copricapo mussulmani che, anche fosse solamente una moda, è comunque sintomatico di un clima ben preciso.

Un paio d'anni fa il cantante Harry Belafonte ha bollato Colin Powell come un moderno schiavo domestico. Eppure quelle dichiarazioni sollevarono un vespaio di polemiche anche tra gli intellettuali neri. Qual è la sua posizione?
Non credo si possa definire Colin Powell uno Zio Tom, semplicemente perché è parte integrante di quella stessa classe di potere. Un membro espresso direttamente dalla nuova casta imperiale degli Stati Uniti d'America che, se è un servo, lo è nella misura in cui parte della borghesia serve un'altra parte della borghesia. Lui e Condoleeza Rice rappresentano un trick per le élite afro-americane, sono figure meramente rappresentative, facce nere messe lì in bella vista per legittimare lo status democratico e multirazziale di un gotha che possiede invece radici profondamente razziste e fondamentaliste. Prendi la storia dell'Affirmative action (corsie preferenziali atte a garantire pari opportunità d'accesso allo studio per le minoranze etniche, ndr): è stato tutto un gioco delle parti, con Bush apertamente contrario, in linea con la componente più reazionaria del Partito repubblicano e Rice che invece si è schierata a favore, così da tenere buona la borghesia nera. Stanno privatizzando tutto, ora si sono concentrati sulla spesa sociale, una cosa da abbattere definitivamente e poter poi reinvestire gli utili in borsa.

Un altro intellettuale afro-americano di spicco, Cornell West, sostiene che mai come in questi anni l'America nera viva un profondo vuoto culturale in termini di leadership.
Sì, sono d'accordo. I leader attuali sono dei falsi leader, più preoccupati a dare delle risposte al ceto medio nero che non ai poveri e ai diseredati. Ci sono un'infinità di problemi che ancora oggi in Usa affliggono la nazione dalla pelle scura, e sai qual è la linea di questi sedicenti leader? Che il problema principale risiede nell'attitudine sbagliata degli stessi neri. Una vera follia.

La parola ha sempre rappresentato un elemento cardine nella complessa cosmogonia afro-americana. Da qualche anno si è affacciato un nuovo stile di poesia improvvisata, lo slam. Che idea s'è fatto al riguardo?
Per me la slam poetry non ha alcun valore artistico. Tentare di introdurre il capitalismo nella poesia attraverso questa cultura del chi vince e chi perde è qualcosa che poteva nascere solo dalla mente perversa di alcuni bianchi di Chicago. D'altro canto esistono un sacco di nuovi incredibili talenti in giro, vedo una nuova Harlem Renaissance che si affaccia, poeti come Sekou Sundiata o mio figlio Ras, che ha fatto cose straordinarie assieme a Lauryn Hill.

L'hip hop è ancora la forma espressiva più importante per capire le molteplici contraddizioni in seno all'America nera?
Senza dubbio, anche se tutto è vincolato dal grande mercato. Oggi i neri controllano solo apparentemente le proprie edizioni musicali; a ben guardare è sempre tutto in mano ai grandi gruppi economici e se la tua proposta non è funzionale al sistema sei automaticamente tagliato fuori dalla grande distribuzione. Ti faccio una domanda: nell'ultimo decennio le figure predominanti uscite dall'universo hip hop sono state 2-Pac e Notorious Big, entrambi morti. Chi controlla oggi i loro diritti discografici?

Giorni fuori tempo

Mi muovo fuori sincrono, come la voce di Ghezzi.

Al momento viaggio con un giorno di ritardo: ho fatto parecchie cose un giorno dopo, compreso il post sul giorno della memoria. Studio sociologico sul blues che chiama negri i negri e poi mi viene da dire negri. E' un nuovonuovo Einaudi del '63, che il politically correct non c'era e se c'era dormiva. Mi sono ricostruito tutte le mappe della Ma Rainey e della Bessie Smith, c'era un che di importante, che a leggerlo capisci Obama come prodotto sbiancato al massimo di quella borghesia di neri professionisti affrancati assurti a modelli di vita da bianco. Che più bianco non si può. Barack è bello, meglio di èllry, pure i Kennedy sono con lui, lo voterei pure io, perché tra una donna e un black alla whitehouse non so scegliere, ma hillary de femmina ci ha poco, mi sa. E non è una battuta scorrect, coz amma huuuchiecuuuchie man

26 gennaio 2008

furbo, l'etrusco

Conoscendo Volterra, Populonia, ma anche Tarquinia e tutte le altre, avevo idea che l'etrusco se la godesse, ma in realtà se la stragodeva proprio. Cavoli, da quando sto qui ne ho visti di posti da urlo in cima alle colline... Oggi sono stato a Casole d'Elsa. Complice una giornata di sole spettacolosa, devo dire che questa cittadina mi è piaciuta un sacco. Ma davvero. C'è un senso presente di gioco e di creatività, tra i personaggini seminati ovunque, sculturine che fanno cose normali, tipo riposare su una panchina, entrare in una porta, stare affacciati dai merli di una torre. Le maioliche dipinte dai bambini che adornano posti altrimenti tristi, la toponomastica (via della fantasia), l'arredo urbano. Gatti enormi. Due ragazzini giravano insieme, il piccolo faceva domande al grande, adolescente, che rispondeva a grugniti. E il panorama, sul Chianti, sulla Montagnola, su San Gimignano, sull'Appennino, sui soffioni di Larderello, dove ti giravi era spettacoloso. E quando mi capita ci torno...

24 gennaio 2008

Ridere

L'altro giorno abbiamo rivisto Brian di Nazareth. La sensazione è che una volta si facessero, qui come all'estero, delle cose straordinariamente divertenti. Oggi non vedo cose che facciano ridere in quel modo: probabilmente è un problema mio, ma a me sembra così. A cavallo tra '60 e '70 certa comicità era assolutamente irresistibile e in giro c'era tanta gente che faceva divertire in modo geniale. Guardate la scena della lapidazione. Roba da rimanerci secchi.

22 gennaio 2008

le liste

Mi sono recato a dichiarare lo stato di disoccupazione. L'impiegato è stato molto piacevole, prodigo di consigli e rapido. Mi ha consegnato un paio di pezzi di carta, un'informativa sul nuovo collocamento e una dichiarazione dello stato di disoccupazione che serve per avere l'assegno dall'INPS. Lui veramente l'ha chiamato sussidio, parola che ha virato verso il dolore tagliente la sensazione di stretta allo stomaco e al (pardon) culo. Mi ero iscritto un'altra volta all'ufficio di collocamento, credo fosse il 1978 e anche se questa è una fase in cui è bene mettere a fuoco tutti i ricordi non c'era ragione di calarci di nuovo in una realtà del genere. Comunque, da lì ho fatto un salto all'interinale, con un tizio che mi correva dietro per vendermi dei calzini dal bar all'ufficio dell'Adecco, chiudendo con un "ti sto pregando". Mi chiedeva gli spicci del resto del caffé, gli avevo detto di no perché era aggressivo, non so come dire, facciamo che era astioso. Un cielo grigio sopra faceva il resto.

asimmetrie

sono disoccupato da una settimana ma sto lavorando il triplo di prima, 6-22 non stop

21 gennaio 2008

Crisi

Mastella dice ciao. Fine della corsa

Ripercorsi


Una palazzina bassa, all'ingresso di una delle numerose zone industrial-commerciali che fanno da corona a Poggibonsi, posto poco attraente ma molto dinamico. Dicono tutti, qua intorno, che a Poggibonsi c'è tutto. Il centro per l'impiego c'è. E' superattivo, con gente che va e gente che viene, ci scavalco un gruppetto di giovani matrioske che ridacchiano tra loro, guardo le indicazioni e trovo la preselezione. Aspetto, perché l'impiegata è al telefono, e mi guardo intorno: qualche faccia scura che viene dal sud, il tavolo per la consultazione dei quotidiani con le offerte, lo scaffale con i raccoglitori delle richieste delle agenzie ex-interinali e quelli per l'autoimprenditoria. Le impiegate sono gentili, mi chiedono tutte cosa devo fare. Mi intervista Chiara che sorride e dice che con un curriculum così va bene, che non ci sono problemi e che l'azienda mi chiamerà di sicuro per un colloquio. E' una sensazione nuova, tutto sommato. Quand'ero iscritto al collocamento si andava per timbrare sull'Appia Nuova e c'era sempre un gran casino, si faceva la fila e si andava via, con la certezza che il tutto non sarebbe servito mai e poi mai, a meno di non riuscire a trovarsi un lavoro da soli. Le offerte interessanti ci sono, mi candido per una, ricevo numeri di telefono e indicazioni, pacche sulle spalle, sorrisi. Ma sembra strano, proprio strano. Qualcosa d'irreale, il passaggio dalle certezze incrollabili e sonnolente di pochi mesi fa all'azzeramento delle garanzie di oggi. Un punto zero da cui partire col carico delle esperienze e delle cose imparate in questi anni. Tante, poche. Penso di aver imparato, nell'ultimo periodo, soprattutto ad ascoltare, a osservare. A cercare di esprimere e di respirare umanità. A pieni polmoni. Non so se è qualcosa che si domanda al lavoro. Vorrei dire a chi mi sta di fronte: io capisco. M'importa. Mi comprometto. Faccio. Passatemi attraverso, è quello che voglio. Ma tutto quello che serve è dire cosa si sa fare, dove lo si è imparato e come. La maggior parte delle cose non serve, ma non è importante. Importa il tempo, quel tempo che è sparito, che si è rattrappito in un presente che insiste a mettere la testa sotto la sabbia. A nessuno interessa ieri, tutti hanno paura di domani e guardano all'oggi, a ora perché sembra sia l'unica cosa che davvero conta. E ti spingono a metterti gli stessi occhiali, ad azzerare la prospettiva. Per questo ricordo, per questo immagino il domani. Che sta davanti e mai indietro.

19 gennaio 2008

Sempre a parlare dei Clash

Leggevo un articolo e un'intervista a Federico Guglielmi su Onda Rock. Mi vengono in mente un sacco di cose, schiacciate tutte insieme dalla prospettiva incrostata di trent'anni di cose successe. Se consideriamo la cosa dalla parte giusta, cioè quella di semplici appassionati per una band di rock'n roll che per un certo periodo ha portato la bandiera del punk (sì e no, perché finché sono esistiti i Sex Pistols i Clash erano in ombra, relegati al rango di band politicizzata che poi passò agli Stiff Little Fingers di Jake Burns), il tratto saliente dei Clash, a parte il fatto del contratto firmato per la CBS, sta probabilmente nell'aver dato una direzione all'onda infuriata del punk, lasciandoselo alle spalle alle prese con l'autoavvitamento al conformismo della musica-di-moda. Il salto vero sta nel periodo di torrenziale vena creativa, tra London Calling e Sandinista, che regala un paradigma articolato in 50 pezzi o quasi alla gran parte dei musicisti che verranno. In molti pagano un tributo ai Clash, che erano molto più di una band straordinariamente cool almeno in due dei suoi componenti (Joe e Paul) e così modernamente tendente alla combinazione di elementi eterogenei tra loro. Detto questo, la forza devastante di Tommy Gun, scandita dalla batteria stratosferica di Topper Headon viene prima di quella svolta e si deve anche alla criticatissima regia di Sandy Pearlman, ex Blue Oyster Cult, che c'entrava come i cavoli a merenda. Ma senti che roba, cavolo, senti che pezzo mozzafiato...

18 gennaio 2008

Relazioni

Al di là dell'opinabilità di rilevazioni, numeri e sondaggi, quello che conta è che l'avvento di internet ha modificato il rapporto della gente con la televisione, per alcuni motivi fondamentali, secondo me: la possibilità di selezionare i contenuti in accordo con le proprie esigenze e quella di interagire arrivando a produrre contenuti che vengano fruiti da un pubblico sono probabilmente quelli decisivi. Attraverso l'interattività, poi, si è assistito allo sviluppo di reti di relazioni interpersonali che hanno fatto da base per la circolazione di idee relative sia al mezzo stesso che a tutti gli argomenti immaginabili. Sembra scontato, adesso che l'innovazione è arrivata a un certo grado di maturità e che la quantità di cose possibili grazie alla tecnologia ha raggiunto livelli impensabili sette-otto anni fa, ma di strada se n'è fatta molta e chi ha navigato con mosaic e con un modem da 14.4 lo può facilmente testimoniare. Mi ricordo che si ragionava molto, prima, sugli alienati della televisione, che vivevano in poltrona con uno sparacanali in mano. I tempi sono cambiati e si pensa, oggi, che l'esagerata interazione con internet sia deleteria per i rapporti "reali". E' una banalità, ma è il tipo di obiezione che ho sempre sentito muovere a chi si "sintonizza" troppo intensamente su qualcosa. Mia madre quand'ero piccolo mi faceva uscire a spasso (dùpalle) per forza, a me che m'intestardivo a rimbambirmi la testolina su tutti quei libri... (faceva bene, ma questa è tutta un'altra storia)

17 gennaio 2008

I professori satanici della sapienza


a questi j'è partita la ciavatta

bilancio

La prima giornata da disoccupato è andata bene, tutto sommato.
Stamattina sono andato a recuperare le mie cose in ufficio. Ho salutato l'unica persona che se lo meritava e sono venuto via. Sono andato a prendere il caffè con mia moglie a San Gimignano. Abbiamo deciso che ci voleva un pranzo all'altezza, perciò ci siamo fermati al Lidl e abbiamo comprato un po' di schifezze radioattive, cevapcici, polpette dulano, un accrocco al presciutto eccetera. A casa, dopo pisolo, bloggamenti, riordini di carte, telefonate varie e attività volte al reinserimento nel mondo del lavoro, è arrivata l'ora della zuppa. Ho prodotto un ottimo prodotto, slurp, attaccato un pecorino stagionato che avevo in cantina, bruciato al fuoco un po' di cartoni col marchio del datore di lavoro, giurando vendetta. Nel frattempo la roma ha vinto, io ho finito di leggere ingrao, ho perso un paio di partite a literati e non ho sonno. Fuori piove a secchi. Adesso vado a leggere una roba pesante...

ghosts

Sono fantasmi, o ricordi che tornano.
Sono le incertezze sul futuro, i dubbi, le ansie che non ti lasciano. Il senso della precarietà appesa addosso, della tara del bisogno quotidiano di garantirsi le risorse per essere come gli altri, per avere accesso alle cose che ti consentano di competere per sopravvivere. Ed è un cerchio che gira, saldato, perfetto. Che non mostra, in apparenza, punti su cui si può far leva per spezzare. Io questa cosa la conosco, ci convivo da sempre. E finisce sempre per tornare. E' il suo tentativo di portare l'attacco, l'assedio decisivo. Ma non vince, non vincerà mai, il segreto è voltargli le spalle. Siamo noi che produciamo l'ansia, noi che le ingigantiamo proiettandola sulle nostre paure, sulle cose che dovremmo esorcizzare ma evochiamo di continuo. Come in un mantra portasfiga. Siamo qua, le sfortune sono altre.

16 gennaio 2008

Il solaio della memoria

Per quanto abbia frugato nella mente, stanotte, tutta la notte o quasi, fino alle quattro o alle cinque, leggendo qualcosa qualsiasi cosa (la biografia di Ingrao, nella circostanza) non ricordo di essere mai stato licenziato, nemmeno in uno degli innumerevoli lavori che ho fatto prima di adesso. Ho smesso di fare il manovale la prima volta perché ricominciava la scuola, la seconda, a scuola finita, perché il gesso mi faceva male alle mani, dovevo andare col pullman da Roma a Castelgandolfo tutte le mattine e arrivare là alle 7 e mezza e non ce la potevo fà. Ho smesso di vendere le rose al semaforo perché dovevo partire per le vacanze con la famiglia, ho smesso di andare a fare il lavoratore fantasma dal famoso produttore di formaggi perché per farlo non andavo a scuola e non si poteva fare, ho smesso di fare l'aiutoelettricista perché mi trattavano male, ho smesso di fare l'impiegato di agenzia ippica perché a montare i pavimenti modulari pagavano di più, ho smesso di montare pavimenti modulari perché non si lavorava tutti i giorni e a portare il pane col furgone ci si alzava alle quattro di mattina ma si lavorava sempre, ho smesso di portare il pane perché con un contratto di formazione da impiegato amministrativo finalmente mi pagavano i contributi, ho smesso di lavorare lì perché mi toccava restare a Napoli e volevo tornare a Roma, ho lasciato l'azienda che mi aveva riportato a Roma perché era in procinto di trasferirsi a Milano, ho lasciato quella che mi ha assunto in quel frangente per andarmene a vivere a Siena con mia moglie. Le collaborazioni collaterali le ho lasciate tutte io, dalla quota di socio di minoranza della società di sviluppo software alla contabilità serale della ditta di antifurti che versava in difficoltà terribili e me l'aveva chiesto un amico per pietà, la ditta pagava in natura (due-tre allarmi che poi ho regalato), dalla collaborazione con l'Ora di Palermo perché il giornale ha sbaraccato a quella con Epolis perché nel frattempo ci siamo trasferiti ed è arrivato il braccio destro del nano. Mi sono sempre dimesso per davvero, insomma, a differenza del Mastellone nazionale. Alla fine, zac. Verginità perduta.

prime volte

E poi, quando ormai non te l'aspettavi più, arriva pure il giorno del tuo primo licenziamento.

15 gennaio 2008

benedettuomo

Ma come fai a escludere il Papa, noddico, ma che scherzi?
Gnamo, Galilei come argomento è vecchio, diciamo che ci s'incazza per quello che dice quotidianamente, specialmente quando invade campi che non gli competono.
E si provoca.
D'altra parte la reazione vaticana che grida alla censura come la vuoi definire? Paradossale? La mì nonna avrebbe parlato di faccia come il Q. Solo che lei non diceva le male parole...

14 gennaio 2008

Sempre con sto ipotetico paese normale

L'ovvietà di oggi è che in un paese normale fare appello a tutte le risorse disponibili per uscire da un'emergenza come quella dei rifiuti in Campania è normale, sacrosanto, manco lo si dovrebbe stare a dire. Certo, in un paese appena appena normale, ma che dico, in un paese normalino, l'emergenza rifiuti non si sarebbe mai determinata. Comunque c'è, bisogna smaltirla, farla smaltire dagli ultras mi sembra una grande idea. Interniamoli nelle discariche e alé

8 gennaio 2008

Non chiederci

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


adesso lo sappiamo, sì che lo sappiamo

5 gennaio 2008

L'uomo che odiava i blog

da Shibumi, un bel post

3 gennaio 2008

Detto questo

Ho un problema con l'autorità che mi torna su. E poi c'è la faccenda dell'ottimismo che è dei coglioni, e quella di quelli che hanno capito tutto loro e non si fidano e malignano e sottendono trattando tutti da ingenui e da coglioni. Una cosa che non sopporto e che è diventata il modo di essere preferito da molti. Anche Michael Moore non si fida di nessuno, a me viene da non fidarmi quando vedo uno che non si fida di nessuno e che maligna su tutto e su tutti. Anche solo riservandosi un'opzione "cinismo" nella lettura delle cose. Le cose vanno lette nel modo più chiaro possibile, secondo me, ma deve esserci il modo di difendersi senza per forza attaccare. Comunque non mi sta bene...

fiocca

qua da noi ha nevicato, stanotte, e continua