21 gennaio 2008

Ripercorsi


Una palazzina bassa, all'ingresso di una delle numerose zone industrial-commerciali che fanno da corona a Poggibonsi, posto poco attraente ma molto dinamico. Dicono tutti, qua intorno, che a Poggibonsi c'è tutto. Il centro per l'impiego c'è. E' superattivo, con gente che va e gente che viene, ci scavalco un gruppetto di giovani matrioske che ridacchiano tra loro, guardo le indicazioni e trovo la preselezione. Aspetto, perché l'impiegata è al telefono, e mi guardo intorno: qualche faccia scura che viene dal sud, il tavolo per la consultazione dei quotidiani con le offerte, lo scaffale con i raccoglitori delle richieste delle agenzie ex-interinali e quelli per l'autoimprenditoria. Le impiegate sono gentili, mi chiedono tutte cosa devo fare. Mi intervista Chiara che sorride e dice che con un curriculum così va bene, che non ci sono problemi e che l'azienda mi chiamerà di sicuro per un colloquio. E' una sensazione nuova, tutto sommato. Quand'ero iscritto al collocamento si andava per timbrare sull'Appia Nuova e c'era sempre un gran casino, si faceva la fila e si andava via, con la certezza che il tutto non sarebbe servito mai e poi mai, a meno di non riuscire a trovarsi un lavoro da soli. Le offerte interessanti ci sono, mi candido per una, ricevo numeri di telefono e indicazioni, pacche sulle spalle, sorrisi. Ma sembra strano, proprio strano. Qualcosa d'irreale, il passaggio dalle certezze incrollabili e sonnolente di pochi mesi fa all'azzeramento delle garanzie di oggi. Un punto zero da cui partire col carico delle esperienze e delle cose imparate in questi anni. Tante, poche. Penso di aver imparato, nell'ultimo periodo, soprattutto ad ascoltare, a osservare. A cercare di esprimere e di respirare umanità. A pieni polmoni. Non so se è qualcosa che si domanda al lavoro. Vorrei dire a chi mi sta di fronte: io capisco. M'importa. Mi comprometto. Faccio. Passatemi attraverso, è quello che voglio. Ma tutto quello che serve è dire cosa si sa fare, dove lo si è imparato e come. La maggior parte delle cose non serve, ma non è importante. Importa il tempo, quel tempo che è sparito, che si è rattrappito in un presente che insiste a mettere la testa sotto la sabbia. A nessuno interessa ieri, tutti hanno paura di domani e guardano all'oggi, a ora perché sembra sia l'unica cosa che davvero conta. E ti spingono a metterti gli stessi occhiali, ad azzerare la prospettiva. Per questo ricordo, per questo immagino il domani. Che sta davanti e mai indietro.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Mi piacerebbe poterti contraddire. Ma così è: l'Italia è una repubblica fondata sul tempo (possibilmente determinato). Proprio per questo è ancora più importante avere un concetto di "avanti" che resista ai colpi.
Vai, Pank. Io ci credo.
Fiammetta